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Non esistono che macerie

I rom sono avezzi alla rassegnazione, da secoli.

Nelle conversazioni con tanti e diversi tipi di rom avute negli ultimi mesi ricorre questa loro rassegnazione velata di lamento, che colpisce così come la loro resistenza passiva al cambiamento.

Me ne parla Vasile, sorridendo, mi parla anche di un po’ di storia, a modo suo.

Mi dice di come sotto Ceausescu gli ungheresi perdettero l’uso della loro lingua e i rom la loro maggiore caratteristica: il nomadismo, caratteristiche incompatibile con il senso di unità nazionale che Ceausescu voleva.

E fu così che il dittatore decise di confinare i rom in quartieri ghetto ai margini delle principali città rumene, estirparli dai loro lavori tradizionali inserendoli nelle cooperative di lavoro forzate ed impedire qualsiasi riferimento alla etnia cui essi appartenevano.

Soffrivano i rom, avevano case, ma non avevano acqua, luce o gas, non avevano più neppure loro stessi.

Stavano diventando solo romeni e non rom romeni come Ceausescu voleva?

No, o almeno i romeni non la pensavano così.

I romeni probabilmente vedevano nelle proprietà non volute dei rom di allora una possibilità per potersi ricollocare, ammodernare, abbandonare i block più decadenti e ripartire proprio da lì, dalla periferia.

I rom vennero allora sistematicamente cacciati dalle città, spesso con la violenza e indifesi si rifugiarono nelle campagne e come è nella loro natura aspettarono tempi migliori per ritornare, chissà magari con la democrazia.

Il punto è che i tempi migliori non vennero, non sono venuti e probabilmente non verranno mai.

La democrazia mi chiede Vasile, cos’è la democrazia? E sorride, mi indica i dintorni di questo quartiere.

E’ furbo Vasile, lo so.

Mi guarda strano e io capisco che per lui questa è una conversazione ridicola.

E allora taccio, penso a cosa fosse la democrazia dei diritti.

Una matrioska russa forse.

La apri e ve ne è un’altra dentro e un’altra ancora e ancora, così all’infinito, senza mai risposta.

Così è in romania oggi, perché la Romania e la sua burocrazia non è mai chiara, in niente.

Conversare con chiunque diventa un rimbalzo senza fine, un se, un ma, un forse e il più delle volte non si capisce nemmeno con chi dovresti parlare, sono capaci di rimbalzarti di persona in persona per tre volte e ti vien quasi da ridere perché quelle stesse tre persone sono tutte nella medesima stanza di 2 metri quadrati.

Ma il diritto ad una vita dignitosa è un diritto, non è una matrioska e non è nemmeno una conversazione di se e ma.

E’ un diritto.

L’abbiamo dimenticato solo perché se non c’è non c’è, non è sanzionato, nessuna legge impone il godimento di tale diritto.

Lo fosse ce lo ricorderemmo più facilmente.

Se lo ricorderebbe la Romania, che magari applicherebbe, e farebbe applicare ai suoi dipendenti, i bei trattati sui diritti umani accuratamente ratificati che fanno bella mostra nella costituzione e nelle leggi rumene.

Assolutamente fedeli agli originali quei trattati, non una virgola, non un se o un ma in più.

E che dire dei diritti delle minoranze, una prolissa legge ne assicura ogni diritto.

Il diritto allo studio, a non essere discriminati, a parlare, scrivere e coltivare la propria lingua, ad essere aiutati per il conseguimento di una vita dignitosa e via di seguito, legge perfetta.

Carta straccia.

È qui che torna prepotentemente la matrioska, bambolina graziosa in apparenza, terribile averci a che fare.

Immagino nel primo strato la legge, curata nei dettagli, ogni postilla è lì, ogni se e ma di un dipendente comunale che mentre assegna le case comunali ai più poveri pone in ultima fila le domande redatte dai rom.

Poi apri ancora e vedi che la bambolina più piccola è la giustizia, che non esiste.

Non esiste mai giustizia o almeno io non la vedo.

Apri ancora e quella più piccola ancora è la dignità che la democrazia avrebbe dovuto dare a questa minoranza, l’ho cercata in questi mesi da queste parti, ma non l’ho trovata.

E poi ce n’è un’altra e un’altra ancora, ci sono le condizioni deplorevoli dei bambini che vivono più in strada che in casa, e per i pochi cui possiedono un ambiente familiare che possa chiamarsi tale languono a scuola in classi ghetto formalmente abolite nel 2007, ma tuttora rinvenibili in tutto il paese.

Ci sono i maltrattamenti, il disprezzo, il dolore.

Resisto all’impulso di parlare ancora.

Guardo la punta delle scarpe, siamo qui, in questo quartiere di baracche alla periferia di un paese di poche anime e aspettiamo ci invitino ad entrare.

Mi vergono della democrazia dei diritti che non esiste, in cui ostinatamente continuo a credere.

Vasile sorride ancora, un sorriso bello il suo.

Fa freddo.

La persiana rotta sbatte nel vento gelido rumeno, ma la padrona di casa è calorosa e tanto basta.

Non c’è pavimento qui dove siamo ora, sento la terra nuda e mi concentro su di essa, non lo riesco a guardare negli occhi Vasile.

La visita è finita, mi alzo, mi fa ancora cenno di guardare, non esistono che macerie, lo so.

 by Danila Zizi, Italy

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